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domenica 28 agosto 2022

Un viaggio nel tempo - Tra le acque del lago di Massaciuccoli

Tra le testimonianze che nel tempo documentano visivamente le prime forme di pesca lacustre ci sono alcuni disegni dello scienziato e botanico bolognese Luigi Ferdinando Marsili, eseguiti tra il 1720 e il 1728 nelle paludi emiliane, assai simili alle nostre del Massaciuccoli, che illustrano la stesura in quelle acque di alcune reti di sbarramento. Altri disegni - sempre opera del nobiluomo bolognese - documentano l'uso di una bilancina: una rete di modeste dimensioni fissata ad una struttura a croce che una pertica, anticamente una canna di bambù o legno - ed oggi costituita da materiali telescopici più leggeri - attraverso l'uso di una corda permetteva di immergere e quindi sollevare dall'acqua. Lungo le rive si alzavano poi modestissime costruzioni in legno e in canna, protette da coperture in falasco: piccoli spazi usati per la rimessa delle reti oppure di altri strumenti di lavoro impiegati nelle diverse attività che prendevano vita nelle zone lacustri, dove la pesca assumeva un ruolo di primo piano per l'economia del territorio.

«La pesca del Lago di Massaciuccoli mantiene altresì molte famiglie ed il governo ne ritrae un vistoso provento» leggiamo sul Dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana di Emanuele Repetti, pubblicato nei primi decenni del XIX secolo. E Tommaso Ghilarducci in Considerazioni intorno alla proscrizione delle risaie nel Lucchese, stampato in Lucca presso la tipografia Giusti nel 1848 descrive La Piaggetta di Quiesa come "un piccolo casolare di pescatori sulla sponda del lago, intorno al quale si allargano immense lande paduligne.”

Nei primi decenni del secolo scorso la nostra bilancia è ancora un rudimentale capanno, grande lo stretto necessario per ospitare una persona: una tettoia con tre pareti laterali. Col tempo, e la sempre maggiore disponibilità di mezzi e materiali, quelle modeste costruzioni venivano poi affiancate da strumenti di pesca più efficienti: le reti si allungavano sulle acque, sovrastavano l'intero corso di un canale, con facilità scendevano e risalivano dalle acque. Per sostenerle e tenderle venivano innalzati pali, generalmente di castagno, posizionati a quadrato davanti alla stessa bilancia, o su entrambe le rive del corso d’acqua. Andavano ognuno fissato ad altri tre pali precedentemente piantati sul fondo del terreno con l’uso di mazze, fino a quando si incontrava lo strato di rena, alcuni metri più in basso, nel quale era impossibile procedere.

Per avere un'immagine di queste costruzioni nelle nostre zone del lago possiamo sfogliare un libro di Luigi Pedreschi che nel suo Il lago di Massaciuccoli e il suo territorio ne mostra appunto alcune foto, aggiungendo poi: "[...] Il pesce raccolto dai pescatori di professione (la regione è frequentata anche da molti appassionati di pesca sportiva) viene tuttora, per lo più, concentrato al Porto della Piaggetta e di qui smistato ai vari centri di consumo, cioè Lucca innanzitutto, e poi i paesi vicini al lago (specialmente Massarosa e Quiesa) e Viareggio. Le anguille vengono spedite in gran copia nell’Italia settentrionale.". Il libro di Luigi Pedreschi viene pubblicato in Roma nel 1956, eppure nel volgere di pochi anni sembrerà illustrare un mondo passato e lontano. Già i segni e i fremiti di una civiltà industriale che preme ed avanza, bussano alle porte del paese per annunciare una società governata da un crescente benessere, che muterà il proprio rapporto con l’ambiente naturale: non più luogo di fatica e sacrificio ma anche momento di svago e ricreazione, atteggiamento, questo, spesso incurante di quegli equilibri che fino ad allora ne avevano governato il tessuto permettendone fertilità e sopravvivenza.

Le nostre bilance cominciano ad ampliarsi, non solo in quantità lungo le sponde , ma anche in termini di abitabilità. Mutano le dimensioni, le modalità d'uso, ambienti più ampi, più accoglienti. Nella loro costruzione spesso si utilizzano materiali di fortuna, provenienti dalle abitazioni; a volte pezzi di lamiera andavano a formare parti del tetto o di una parete. Anche le traversine delle ferrovie erano utilizzate: stese sul terreno formavano una solida pavimentazione resistente all’acqua e capace di conservare assetto e posizione senza particolari accorgimenti. La pesca sul lago rimane ancora copiosa, redditizia: interi nuclei familiari si alternavano alle reti riuscendo, nei periodi di pesca, a mettere insieme delle piccole fortune.

A partire dagli anni Settanta, il capanno da pesca subisce un ulteriore mutamento, non tanto nella struttura quanto nella fruizione: il luogo di lavoro si trasforma in un luogo di svago, specchio, di una società in piena crescita economica, della quale segue l’evoluzione, le abitudini, lo stile di vita. Le reti manovrate inizialmente con carrucole e modesti argani crescono di dimensioni ora sostenute e mosse dalla crescente tecnologia; s’introducono sistemi di sollevamento a motore; per installare i pali sul fondo ci si avvale di benne e compressori che permettono un ancoraggio più rapido e sicuro. Fino ai moderni sistemi “a buttafuori”: due braccia rigide a sbalzo, in metallo leggero, s’allungano sull’acqua. La bilancia diventa un piccolo confortevole mondo, luogo di convivialità in cui si ritrovano gruppi familiari, amici, piccole collettività che insieme gestiscono quello spazio. Sul lago si alzano le bilance aziendali: quella della fabbrica Apice di Massarosa, dell’Enel, della Manifattura Tabacchi di Lucca, disponibili ai dipendenti che ne facciano richiesta. Per la manutenzione di quest’ultima si alternano periodicamente squadre di operai da Lucca: riparare la rete, le strutture portanti, l’argano, falciare e tenere pulito lo spazio intorno, rifornire la dispensa. L’illuminazione rimane a gas, quando la vicinanza alla terraferma lo permette ci si allaccia alla rete elettrica. Lo spostamento in barca è agevolato dall'uso di motori a scoppio: si va alla bilancia, per un pranzo o una cena in gruppo, comunque per un momento di festa, se non per qualche romantico incontro.

Ma anche questo mondo fastoso e festoso in un breve trascorrere di anni si trasformerà. L’inquinamento ambientale, la conseguente minore pescosità del lago, una progressiva crisi economica che renderà troppo onerosi interventi di manutenzione in passato inscrivibili nei normali bilanci familiari, la crescente sensibilizzazione verso il mondo animale e vegetale, le leggi e le norme sorte a tutela dell’ecosistema lacustre e delle sue rarità vegetali e animali; tutto questo condiziona interventi e presenze all’interno dello spazio lacuale creando di fatto uno stato di abbandono di molte di quelle strutture.
Oggi più niente rimane delle bilance Enel, Apice o Manifattura Tabacchi. Un autentico campionario di originalità e intraprendenza, esempi d’architettura spontanea e popolare, sta scomparendo sotto i nostri occhi. A questo mondo, ora celebrato dalle belle fotografie di Giancarlo Cerri esposte nello spazio della galleria f 5.6 di Amerigo Pelosini a Massarosa, il nostro augurio di una ritrovata vitalità, nella convinzione che sia possibile favorirne una nuova stagione, una nuova fioritura. Dove le attuali precise norme e regolamentazioni si concilino a quelle originarie costruzioni ancora presenti lungo le sponde del lago, recuperandole e mantenendole per quanto possibile nel loro storico abito, simboli e memoria di una civiltà popolare e contadina che è nostro dovere custodire e conservare.

Arturo Lini, presentazione alla mostra "Baracche e bilance, da via Cava alla Piaggetta", fotografie di Giancarlo Cerri alla galleria f 5.6, Massarosa (LU), marzo 2022.

mercoledì 23 marzo 2022

Mario Calogero, il senso delle cose

I paesaggi marini, gli elementi della natura e quelli dell'uomo che si stendono intorno al mare, vivono in uno spazio aperto e indifeso alla luce e da questa composto e modellato. Di questa si nutrono, come se le loro radici, a noi invisibili, piuttosto che affondare nella terra o nelle sue linfe, si volgessero verso l'alto, cibandosi del mutare dei colori e dei tepori del cielo. Di questo clima vive la pittura di Mario Calogero, indubbiamente intrisa dei sapori e degli umori di una terra, la Calabria della quale è orgogliosamente figlio, e di un'altra terra, a noi più vicina: la Versilia dove nel corso della vita, e delle sue avventure che lo hanno portato per diversi anni ad abitare anche a Milano, è poi approdato. 
Sulle sue tele prendono così vita paesaggi e ambienti propri della macchia e della zona mediterranea, sia quella calabra che toscana, considerando in quest'ultima anche la zona palustre intorno al lago di Massaciuccoli, distante pochi chilometri dalle coste versiliesi, e più in generale il territorio massarosese, dove Calogero ora vive e che gli è spesso, frequentando i suoi splendidi luoghi e paesaggi, occasione e fonte di pittura. E anche il soffio e la pratica creatrice che a questi elementi dà corpo e vita appartiene a una tradizione pittorica che è propria della sua originaria regione: i colori sono spesso accesi, vividi, portano in sé il calore di pomeriggi accesi dal sole, e il vibrare delle cose che nella sua luce respirano e si manifestano.
Considerazioni queste che mi tornano alla mente quando immagino Mario nel suo studio, al lavoro davanti alle sue tele, e che poi quasi si concretizzano in una immagine: lo vedo posare i suoi tocchi di sole, come un pescatore che con precisione cura le proprie reti disponendole nella giusta piega, nello stesso spirito e procedura di qualsiasi esistenza che trova nell'ambiente che gli è intorno la propria ragione d'essere. Ma anche per altri sentieri la sua terra d'origine torna nelle sue composizioni, impregnandole della propria storia e tradizione. 
 
Calogero è nato a Pizzo Calabro, non lontano dunque da quello stretto di Messina luogo di tante mitologie e leggende. Da quella greca che qui aveva messo a dimora due leggendarie figure, Scilla e Cariddi, due mostri marini che vivevano in due caverne ai lati dello stretto: l'una abitante della terraferma, e l'altra della parte insulare. Fino alle epoche più recenti quando Stefano D'arrigo, nel suo Horcynus Orca, pubblicato per la Mondadori nel 1975, qui aveva ambientato il suo paesaggio, simbolico e reale, dove appare l'orcaferone, mostro terrificante e cancrenoso simbolo di tutto ciò che minaccia e si oppone alla vita.
Torna così negli elementi che Mario dipinge - siano essi un albero, una pianta di ginestra, una distesa di sassi e cespugli toccati dal mare - questo antico universo:  una strana eco o memoria, che li abita e li pone, insieme all'ambiente naturale al quale appartengono, anche in un altro regno in buona parte composto di una natura simbolica e mitologica. Quasi un ricordo di una qualche divinità, o entità umana, che li abbia abitati; una strana presenza che esula dall'elemento rappresentato. In un suo quadro, dal titolo "Presenze antiche", una pianta di ulivo esposta in una recente mostra, ed esplicativa di questo mio discorso e di tanta sua produzione pittorica, sembra, più che al regno naturale, appartenere al regno di Barbalbero, il più antico degli Ent, anche chiamato il “Pastore degli Alberi”, una tra le infinite indimenticabili figure che J. R. R. Tolkien ha creato nel suo monumentale Il Signore degli Anelli.
Toscana, nel senso più classico del termine, è invece la struttura della composizione, l'equilibrio delle forme che governa lo spazio della tela. Quel disporre il soggetto in primo piano, quasi sempre al centro della tela, governata da simmetriche partiture dove gli elementi rispondono ad una architettura che considera lo spazio vuoto, come in una chiesa del Brunelleschi, dotato di una propria voce ed una propria consistenza. Quadri che quasi solleticano la nostra sinergia, davanti ai quali porsi come davanti ad una finestra, respirando l'aria che da quella a noi viene, e aprendo gli occhi e il cuore ai sapori e agli incanti di incontaminate terre che sono parte di una geografia senza tempo e confini.
Arturo Lini, presentazione alla mostra Mario Calogero, il senso delle cose, Galleria Europa, Lido di Camaiore, aprile 2009.

lunedì 14 marzo 2016

Riflessioni naturali, fotografie di Amerigo Pelosini

"Riflessioni naturali" è il titolo di quest'ultima serie di opere fotografiche di Amerigo Pelosini, fotografie anche queste dedicate al Lago di Massaciuccoli, ai suoi molteplici paesaggi che prendono vita tra le sponde e i quieti canali. Mostra che viene dopo "La natura (dis)ordinata", titolo di una precedente esposizione tenuta nel 2008 della quale Simone Romani, in un breve testo introduttivo, sottolineava come la fotografia di Amerigo "cattura la bellezza originaria, trascurata o solo dimenticata, restituendo un’immagine della natura che ha il sapore della scoperta".

In quest'ultima prova del fotografo versiliese l'obbiettivo della fotocamera racconta l'incontro tra l'occhio umano e il virtuale punto di vista della stessa natura, quando i soggetti che appaiono sulla foto vengono a raffigurare l'unione dell'elemento naturale e della sua immagine riflessa: come la natura a se stessa appare, nelle acque che ne diventano specchio.
Operazione che quasi sembrerebbe voler prendere il volo da una impostazione concettuale, alla quale poi si sposa la solita maestria del fotografo, ma che in realtà segue una predisposizione, una vocazione tutta interiore, già ravvisabile, seppur in maniera embrionale, in tutta l'opera fotografica di Pelosini, anche in quella di più stretta osservanza paesaggistica: cioè di rappresentare l'ambiente naturale come scena autonoma e, ugualmente, simbolo di un più vasto respiro e ordito.

Sembra quasi un'annunciazione questo comune fiorire di elementi e dettagli dell’habitat lacustre e della loro immagine nel capovolto specchio delle acque del lago. Un sussurrarci qualcosa nella quale il paesaggio vuole rimescolare i punti di vista: un invito ad andare oltre il dato immediato ed evidente delle cose, oltre il punto prospettico che ordina e dispone il creato alla misura dell'uomo e dei suoi passi.
A una riflessione sul rapporto tra uomo e ambiente ci invita dunque questa mostra fotografica di Amerigo Pelosini, non solo nel più comune senso di un profondo rispetto e amore per l’ambiente, ma anche nella considerazione di saper cogliere in "ciò che appare" l'espressione di altri ordini e universi, paralleli e diversi dal nostro, con le loro leggi e necessità, che le abitudini, limiti o superficialità umane sopiscono o celano agli occhi, ma ugualmente vivi e potenti nell'ordine e nel respiro del creato.

Arturo Lini -
Introduzione alla mostra Riflessioni naturali, di Amerigo Pelosini, Torre del Lago Puccini (LU), 2011