lunedì 28 marzo 2016

Lettera a un giovane pittore di W. Yeatsuh


Io oggi sono un vecchio, a tutti sconosciuto, come le stanze di questo luogo dove vivo, e dove ancora trascorro i giorni nella professione che sempre ho seguito, con amore e diligenza, felice delle mie mani che ugualmente i miei sogni e il mio tempo componevano.
Perché il sogno e la realtà subito in me hanno combaciato nella stessa figura, da quando ai miei occhi apparve la grazia di un dipinto, ed essa posò in me il desiderio di trasformare una disordinata esistenza nella bellezza di una perfetta forma, e così scelsi di essere pittore.

Quella rivelazione e quella brama sono ancora presenti in me. E le parole che nel tempo ne hanno precisato la natura ancora non hanno risposto a quel primo stupore, e neppure ne hanno esaudito ciò che sembravano chiedere per placarsi: una autentica opera d'arte. Perché se l'arte è un patto, o una disputa, tra un Dio e un uomo, devo riconoscere che in me ha vinto quest'ultimo, se nella vita ho compiuto opere di così poco conto.

Guardando ai miei quadri ritrovo in essi una immatura esuberanza, la facile convinzione di trovarne il senso oltre la misura delle cose, e l'essenza che le contiene l'ho cercata imponendo alle mie mani un atto che le esagerava iscrivendole oltre se stesse nell'ansia di un segno che superasse di splendore l'esistenza ritratta. Solo ora capisco che più che un urlo il mio lavoro abbisognava di modestia, fino al silenzio; chiarità (1) di una visione così come ho sempre ammirato nelle opere dei Grandi: eterna natività dove il tempo e la bellezza fiorivano dentro i bordi di una superficie estranea alla brama che invade la mano non guidata da uno spirito creatore.

Ora i miei limiti mi sono chiari e visibili, così come il percorso che nel tempo, tra questi costretto, si è svolto e di tutto ciò che non si è compiuto comprendo la ragione e l'inevitabilità. Solo di un pomeriggio, ora lontano nel tempo, che camminavo nella solitudine di un bosco e all'improvviso apparve, al centro di una piccola radura, sopra una pietra piatta, un candido bicchiere di vetro, conservo il ricordo come qualcosa di estraneo al destino dei miei giorni, una annunciazione che avrebbe potuto volgere a me il sogno, l'epifania tanto attesa. Mi avvicinai a quel bicchiere e dentro vidi una mosca che annaspava nel poco di acqua rimasta, forse portata dalla pioggia della notte. Rovesciai il bicchiere sull'erba e così salvai la vita di quell'insetto. Ma quell'incontro, tanto improvviso e fortuito eppure così prezioso per quella vita, è sempre rimasto in me come un sottile presagio, una parabola, che non sono riuscito a comprendere, percependone un senso (segno) che le parole mai hanno afferrato e tradotto in un insegnamento.

II 

Pure un tempo ho vissuto dove i miei giorni si scioglievano tra le speranze e le complicità che sono proprie del nostro mondo, gareggiando sulle onde di un mare che lontano doveva condurmi: al porto di quello che sempre avevo sognato. Come tutti mi adoperavo per il mio interesse, volgendo in acqua idee precedenti se le nuove sollecitavano il favore di qualche potente, o tramando per posare le mie opere in una luce che non gli spettava, e che solo i miei illeciti accordi poteva accendere. Ma sono stati piccoli segni, cenni, squilibri di un'anima mediocre; miseria di un sogno che immiseriva lontano dalla luce in cui si rivelò, e che non vale ricordare.

Ora vedo tutto questo e capisco come io di me sia stato niente più di un'altra malinconia. Perché solo ciò che accade è, e non vale fingersi altrove dai propri atti, se solo questi esprimono la nostra natura e permettono il compiersi dei disegni e delle annunciazioni che compongono la realtà e in quella la nostra vita. Così ho deciso di scriverti questa lettera, giovane e caro amico, sperando che da essa traspaia solo l'intenzione di una testimonianza che, almeno per un attimo, ripari all'assenza che nella vita ho praticato, e non la presunzione di un vecchio che solo l'età, e niente altro, autorizzi a parlare.

III 

A chi oggi si accinge a percorrere una strada sull'orlo di una catastrofe, che tale mi appare la vita di chi intenda viverla da pittore, conviene guardare davanti a sé: la luce che viene dalle proprie spalle fa solo ombra ai passi, né serve a rischiararli la grandezza del passato. Ma se è giusto porsi la domanda del senso e del ruolo del proprio lavoro, altrettanto sia limitare a se stesso la risposta. Perché puoi solo scegliere della tua vita; il tempo della tua epoca non ti appartiene, e i segni del futuro, che certo esistono, sono spesso confusi, frammisti a tanti altri, che spesso ciò che vanta o professa questo nome dimostra, nel volgere di poco tempo, solo la propria vanità e leggerezza.

Il futuro, in pratica, è in te. Sei tu che devi rispondere e scegliere i passi che il tempo in te compirà; di ciò che è più lontano saranno altri a rispondere, con la stessa chiarezza di coscienza che in te riconosco. Ma questa stessa domanda ha in sé una sua verità che subito puoi afferrare. Perché se nessuno può rispondere di ciò che il futuro dispone, o se e per quanto la pittura continuerà a esistere, è certo che all'interno di questa disciplina le diverse epoche passate hanno un volto netto e preciso la cui forma non è più proponibile alle epoche successive. Questa è una piccola certezza della quale nessuna convenienza o pigrizia deve mai farti dubitare.

Pure il rapporto con il nostro passato merita una piccola riflessione che insieme a te voglio provare a percorrere. Nessuna epoca è stata come questa attenta alla conservazione delle opere d'arte del passato. Un bravo pittore italiano, con un certo umorismo, l'ha definita percorsa da "libidine di restauro", e in parte questa frase ha una sua verità, una sua giustificazione, che proverò a esporti. Subito lontano da te l'idea che lo Spirito, che tante mirabili opere ha compiuto nel corso dei secoli, sia ora improvvisamente arretrato o scomparso; esso continua a parlare al cuore degli uomini e questo secolo ne è tra le più alte testimonianze.
Prova a pensarlo da qualche punto ad esso estraneo, e ti accorgerai di quanto stupore e quanta bellezza esso abbia creato, e come l'uomo sia stato, come mai prima, così fecondo e innovativo, superando vincoli espressivi che parevano, fino ad allora, di una assoluta certezza e insormontabili. Eppure la condizione di un pittore si è fatta più difficile anche se oggi è più facile vivere di pittura che nel passato.

Sorta per inseguire lo splendore di una nuova terra e definire la forma nella quale posare la sua visione, l'arte del nostro tempo si è vista decapitata di questo suo slancio. L'Altrove a cui mirava, mirabile soffio da ricomporre sulla lucida superficie di una tela, è un luogo a cui più nessuno oggi desidera giungere e tutto ciò che gli occhi cercano sono segni che niente altro chiedono se non la luce di qualche vetrina. Maestà volta a umili tornaconti ! Inutile specchio di ciò che La compì! Ed è al posto di quella scomoda verità che oggi si sta instaurando una specie di "culto della morte", cioè delle opere d'arte del passato che private intorno a sé di una autentica cultura e amore per l'arte contemporanea, la sola che possa renderle e farne oggetto di vita, altro non diventano che simulacro di una vuota bellezza, distaccata lontananza ridotta al ruolo di oggetto di consumo.

Anche un Dio morirebbe se il suo culto si cristallizzasse in una formula immobile nel tempo, perché tutto ciò che è della storia a questa deve tornare. Perché niente ha più bisogno di uno spirito creativo intorno a sé quanto un'opera d'arte del passato. È solo nel respiro di questo nuovo soffio che prende vita il senso e la ragione che la ispirò; e attraverso questo continua a mostrarsi in tutto ciò che la formò: principio a cui ancora tende, e che alcune parole possono forse indicare: la culla di una civiltà. Del resto non solo materialmente si può distruggere un'opera d'arte, ma anche privandola della sua funzione: non oggetto di un passato da venerare, ma elemento di vita, carne che ancora si pronunci all'interno di un'epoca che non abbia rinunciato allo stesso principio che la generò, il solo che può rendere viva la sua bellezza e maestà.
E perché questo succeda dovrai volgere gli occhi lontano da quel passato che tanto ammiri, nella direzione opposta, e davanti a te dovrai cercare una nuova forma che ospiti il soffio che quella generò, perché così continui il senso e il fine di quella esistenza nella nuova opera che sembra disconoscerla. Ecco quello che dividerà il tuo cuore, e che sarà il senso della tua vita. Solo in te tutto ciò che è stato può continuare a esistere, ma solo nel momento che lo dimenticherai per annunciare la tua novella; come un Cristo, venuto a segnare l'inizio dei tempi entra nel tempio e scaccia i mercanti.

IV 

Come vedi sto parlando a te come ad un antico cavaliere, deciso a scendere in campo a difesa dei propri ideali, mentre era mia intenzione solo darti qualche consiglio, qualche pratico suggerimento; mettere la mia esperienza al tuo servizio, che ti permettesse di vivere il tuo mondo in maniera più cosciente di quanto io stesso feci, quando compivo i primi passi, le prime scelte. Come tu sai le antiche icone svolgevano una precisa funzione: esse dovevano "mostrare l'invisibile", testimoniare la presenza del sacro su questa terra, ed erano l'incontro di un talento artistico e di precise regole compositive che la tradizione aveva definito. Il loro svolgimento però non era sufficiente a renderle quell'oggetto di culto e venerazione che era il fine della loro creazione. Perché questo succedesse ­ acquisire cioè una sacralità ­ era necessaria una liturgia religiosa, un complesso di cerimonie che le investisse di un "sacro carattere".

Ricordati questi due momenti: uno, quello artistico, che compie l'opera, l'altro, quello pubblico, che la investe di una "divina natura", perché ancora oggi, come sempre, un'opera d'arte per esercitare la propria funzione e acquisire il suo ruolo sociale, che ne è il destino e il compimento, ha bisogno di una liturgia, certo non più religiosa ma laica, e che è l'espressione e la definizione della stessa epoca in cui cresce: essa ha dunque oggi bisogno che il mercato la riveli e la nobiliti. È solo attraverso di esso che oggi una piccola tela, come l'antica tavola ricoperta di pigmenti colorati, riceverà la propria venerabilità.
Perché se è il tempo a mostrare il volto delle cose, ed il senso di tante esistenze prende corpo e si rivela nell'atto finale, pure voglio dirti che pochi sono gli occhi che sanno vedere, e che la pietra alchemica ­ la sola che potesse mutare i metalli in oro ­ è l'oggetto più comune e più raro del mondo, se essa è dovunque ma nessuno sa vederla.

Dunque il tuo essere artista nel mondo si svolgerà attraverso questo sistema che è il mercato. Esso è il tuo destino, la tua possibilità. Il luogo dove dovrai vivere volgendo altrove il fine della tua vita e delle tue opere, come Ulisse una volta giunto vicino all'isola delle sirene. Consideralo un tempio indegno del tuo Dio, ma necessario alla natura degli uomini perché essi possano posare su di Lui gli occhi e Ne ascoltino la voce. Abitato da persone diversissime, a volte grandi nell'aiutarti, più spesso mosse da interessi bassi e mediocri che ti blandiranno con false promesse perché in te conoscono solo il proprio interesse. Rifuggi da questi ultimi perché niente in cambio potranno mai darti. A volte ti scontrerai con l'anima di un bambino che nel tuo quadro sceglie un giocattolo, a volte con quella di un commerciante che in esso vede principalmente un profitto; non osteggiarli ma comprendi bene la loro natura.

Non avere fretta né impazienza; né dovrai porre la tua presenza al centro dei tuoi problemi. È già successo, e non solo nel mondo dell'arte, che se di un certo appuntamento è sembrato quasi necessario dire "io ci sono", più confortante, dopo qualche tempo, è stato ripetere " io non c'ero". La Storia, in fondo, è sempre viva finché può partorire un nuovo giorno. Nel tuo cammino troverai persone come te attente e sensibili ai destini della pittura. Anche se il loro giudizio è naturalmente diverso dal tuo ascolta le parole spiacevoli e tieni in giusto conto quelle che apprezzeranno il tuo lavoro; e non considerare mai l'attenzione degli altri per te come qualcosa di dovuto e gratuito; perché è un dono che tu ricevi e del quale devi essere fiero. E non comportarti come un malinconico Don Chisciotte: il mondo, ­ così come è, è il tuo fine e il tuo destino, non il tuo teatro, dove tu sei chiamato a dare vita ed esistenza a ciò che più è simile all'uomo e al sogno, o al destino, che lo porta nel corso dei secoli.

Perché se molti furono gli stili che apparvero sulle tele come sulle scene di questo mondo, e diverse e lontane le epoche che gli furono da cornice, pure qualcosa ­ la stessa ­ ha sempre vissuto nel cuore come nell'opera di ciò che tu chiami i Grandi del passato. Quella parola, pur strano che possa apparirti, è "solitudine", che non è, come si crede, un deserto intorno, ma l'esistenza in qualcosa che ancora non ha forma, né voce, né simili, e che niente tra ciò che fino ad oggi è stato fatto può ospitare e mostrare, e che solo tu, misteriosamente e senza nessuna investitura, sei chiamato a portare alla luce. Questo è ciò che contraddistingue tutti quelli che ami e amerai. Diversissime e inconciliabili esperienze, vite opposte e contrarie, eppure ognuna nella stessa brama di fuggire ciò che fino ad allora era stato perché questo potesse continuare a vivere, a parlare, nel sogno o nell'impeto che li guidava; il domani misterioso riflesso dei giorni passati, nel cui grembo crebbe l'impeto che oggi lo nega: una patina appena smossa ..... (2) .......... .......... .......... .......... .......... .......... .......... .......... ..........


Ed ora, mio caro amico, è venuto per me il tempo del congedo. Delle distorsioni e piccolezze di cui ti ho accennato, e che abitano il nostro mondo, sappi che tutte le ho praticate; delle grandezze a cui le mie parole miravano solo un attimo di pensiero sono state, e mai ho sentito il soffio creatore attraversare le mie mani. Sono stato una minuscola piega del tempo; pazientemente ho raccolto dei segni lontani e diversi ordinandoli in questa piccola biblioteca che è l'io. Prego perché nel Giorno Nuovo qualcuno ricordi il mio nome.
William Butler Yeatsuh


NOTE DEL TRADUTTORE
 1) Anche se il significato nella lingua italiana è diverso ho voluto tradurre con chiarità un termine che W.B.Y. aveva coniato per esprimere "una chiarezza che si fa fisicamente visibile come un'alba"
2) Come sarà apparso evidente questa da me presentata è solo la parte scritta ­ conosciuta come la "partitura apparente" ­ di quella che viene giudicata una riflessione sulla pittura da parte di William Butler Yeatsuh, opera non certo pari alle sue più famose. In questo stesso punto dove ho preferito interrompere il naturale svolgimento del testo, continua, nell'originario manoscritto dell'autore, una serie impressionante di segni, lettere alfabetiche, parole comuni e altre inventate, forme astratte o figurative, formule matematiche e geometriche, note musicali, posate sulla pagina in un apparente e incomprensibile disordine che continua fino alla breve parte finale (V), in questa edizione integralmente riportata, e che ritorna ad una funzione comunicativa. Lo stesso autore parlando di questo suo testo disse che "si doveva pensare ad un iceberg la cui parte visibile corrisponde a quella scritta, che però prende corpo e movimento, come è nella natura di qualunque segno, dalla parte sua più profonda, e ai nostri occhi invisibile, ma più compatta, e di un senso e di un significato assai più complesso e reale, senza il quale tutto lo svolgimento dell'opera e del creato verrebbe meno"


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