martedì 25 dicembre 2007

Rendiconto, poesie di Dino Carlesi

Rendiconto è il recentissimo appuntamento di Dino Carlesi con la poesia: felicemente mantenuto anche questo nei parametri di una scrittura sottilissima, colloquiale, venata adesso di terse malinconie, che mai appannano la luminosità dell'ordito.
Una poesia questa di Dino Carlesi che ha attraverso buona metà del XX secolo, sempre condotta in una omogeneità di stile e timbro; singolare percorso attraversando intatta luoghi e topos propri della recente storia letteraria italiana: dal post-ermetismo alla poesia neo-realista, dallo sperimentalismo dei Novissimi e del Gruppo 63 al nuovo romanticismo degli anni '80

La sua poetica è stata spesso avvicinata a un'età della ragione, un luogo della razionalità, definizione, a mio avviso, giusta fino a un certo punto; almeno fino a che serve a designare l'uomo o il poeta che cerca negli strumenti del colloquio con il proprio e l'altrui pensiero la propria voce e misura, fuorviante se in questo termine s'andasse a cercare nella pagina il predominio o lo svolgimento di architetture filosofiche o speculative.

Se proprio dovessi definire in un termine o in una cifra la poesia di Carlesi, operazione quasi sempre destinata se non al fallimento certo all'insufficienza, parlerei di poesia civile, sia perché riconosco in Carlesi quel senso tutto toscano dell'esser poeta nel farsi giudice del proprio tempo giammai rinunciando all'esser cittadino oltre che uomo - allineandosi in questo a un Luzi o a un Bigongiari per non citare più illustri antenati - sia e soprattutto perché è il tono di questa poesia, il suo modo di porsi, a conferirle tratti e caratteristiche, luci e stilemi.

Nella poesia di Carlesi, a mio avviso, ragione e sentimento s'equiparano, insieme vivono d'uguale spessore e ruolo nel definirne personalità e natura. Insieme accedono al centro della poleis, indossano la misura e l'abito della parsimonia, giammai farebbero di sé scena o spettacolo. Non urlano ma argomentano le proprie convinzioni, hanno sulla bocca il pudore dei propri moti, raramente s'abbandonano al dolore, e non perché l'uomo non lo conosca. E neppure urlano di felicità, quando questa batte alla porta dei giorni: la riconoscono e nella coscienza della sua presenza la vivono assaporandola.

I sentimenti si rivelano per lampi, o per i loro riflessi. Sempre per misurati accenni. Accedono alla scena, per un attimo accendono un nome, sia quello di Martina o il colore di una pianta, spuntata ai lati di una strada o tra le mura d'una città toscana.. È quello un attimo lieve ed eterno, per il quale, noi tutti che amiamo la poesia, non possiamo che profferire un grazie per questa lezione di stile, umano e poetico.
Arturo Lini



Dino Carlesi 
è nato a Milano, ma ha vissuto quasi sempre a Pontedera, in Toscana, dove è morto nel novembre 2010. Critico d’arte e poeta, è stato amico di scrittori e artisti. Fu incluso nel 1947 da Giuseppe Ungaretti nell’antologia Poeti prigionieri. Hanno espresso giudizi sulla sua opera poeti e critici come Mario Luzi, Carlo Betocchi, C.L. Ragghianti, Enzo Carli, Fortunato Bellonzi, Antonio La Penna; Diego Valeri, Angelo Barile, Emilio Greco. 
Dal 1984 invia ogni anno, come augurio, un volumetto “fuori commercio” dedicato agli amici. 
Fra le altre sue pubblicazioni ricordiamo: All’affanno del tempo (Nistri-Lischi, 1953); La vigna a mezza collina (Marzocco, 1958); Il cielo di tutti (Nistri-Lischi, 1962); Modo di essere (Nistri-Lischi, 1968); Case come storie (Graphis Arte, 1973); Elegia per l’uomo (Graphis Arte, 1975); Foto di famiglia e cane (Lodi, 1976); Il giacinto allegro (Sciardelli, 1976); Otto lettere d’amore (Lodi, 1978); Il prato del mulino (Graphis Arte, 1980); Impronte digitali (Scheiwiller, 1981); Variazioni sul segno (Graphis Arte, 1983); Una stagione possibile (Giardini, 1987); Destinazione terra (Forum, 1993); Soggiorno obbligato (Baroni, 1997); In forma di quindici (Jaca Book, 1999); Racconto di un viaggio (Edit. Passigli, 2000), Ricerca di poesia (Ediz. Del Leone, 2002); Segnali imperfetti (Edizioni ETS, 2005); Rendiconto (Ibiskos Editrice 2007); La porta socchiusa (Talete Edizioni 2009); La tua leggerezza (Bandecchi & Vivaldi Editori 2011) uscito postumo  a cura di Franco Pezzica e Floriano Romboli, due dei maggiori esegeti della poesia di Dino Carlesi.

XI

intreccio il ritmo delle parole
e tento poesia / una specie di abbozzo
di un autunnale bilancio / una dilaniante 
confessione a mezza voce apre il varco 
nel nostro insano viaggio

non so se raccontarti l'abisso
o i rari prodigi - o gridare i teoremi 
consumati - ti attende il nome 
sul vetro appannato / l'uccello 
controvento sa di giungere - lui -
al pennone della nave,
poi sarà silenzio.



A Paolo MONICELLI
non so perché la luce
dovrà essermi negata / ho respirato 
letto i giornali / ho assaporato 
gli odori delle strade / ho atteso 
messaggi di amici / dubitato del mio 
intelletto / ho sperato che qualcosa 
affiorasse / qualche segnale giungesse 

ho creduto che gli dei potessero 
non esistere ( con alterni pentimenti ) 
ho solo inchiodato i predestinati 
alla loro non giusta sorte amando con devozione 
il passo faticoso dell'uomo

giovedì 23 agosto 2007

Serafino Beconi

Ci sono artisti che attraversano il proprio tempo sempre inadatti a questo. Stanno lontani dai suoi clamori; lo vivono quasi ignorandolo, spesso rappresentandolo, attraverso bagagli d'immagini del passato.
Altri hanno il cuore scoperto agli avvenimenti, ai fatti, ai giorni; sono da questi ammaliati, non riescono mai a liberarsi da quei rumori e clamori; anche la pittura ne diventa un capitolo, la ricerca di una risposta a una domanda che è la vita reale a formulare, non quella dei segni o dei toni dei colori.

Serafino Beconi ha partecipato di entrambe queste due anime. Non è stato un inventore o un precursore, nel senso proprio che questo termine serve a connotare l'opera di un artista. I suoi bagagli artistici, ampi e profondi, ricapitolavano un secolo di pittura, non anticipavano o partecipavano a un altro.
Eppure mai abbiamo avuto l'impressione, davanti ai suoi quadri e alla sua opera che il suo linguaggio additasse un mondo interiore che più non era, che rincorresse qualcosa che non apparteneva al dolore, o alla felicità quotidiana. Mai abbiamo scorto in Serafino scene e insegne di un mondo scomparso, e ora  riproponibile solo nella tavolozza e negli stilemi di una qualche provincia.

Al contrario s'avvertiva nella sua opera l'inquietudine dell'uomo davanti al proprio tempo: sembrava quasi chiedere una luce, lui, alle luminose scene, da lui stesso composte sulla tela. 
E questo non tanto per le forme e figure rappresentate, quanto per l'anima che a quelle si è accostata legandosi a esse; ed ancora - per il miracolo della pittura - in quelle percepibile:  rimanendo così ugualmente sospesi tra dubbi e sicurezze, incertezze a volte, alle quali vorremmo rispondere con un urlo certo e profondo, di cui qualche volta si è capaci, forse per incoscienza, o maturità.
Arturo Lini

L'eccidio di Sant'Anna.
L'eccidio di S. Anna, che Beconi compose principalmente dal 1959 al 1964 - anche se già a partire dal 1951 aveva composto alcuni disegni ispirati dalla cronaca di quei fatti - è un voluminoso ciclo pittorico tratto dalla luttuosa pagina che nel paesino versiliese di S. Anna, situato nel comune di Stazzema, si scrisse il giorno 12 agosto 1944 quando truppe naziste perpetrarono, per pura rappresaglia, una strage di 560 civili, tra cui donne e bambini.

Questo di Beconi è uno degli episodi più alti della pittura figurativa italiana del XX secolo. Ancora ignorato dalla storiografia ufficiale ripercorre, attraverso diverse scene o quadri, i momenti di quella tragica giornata, culminata nel rogo delle vittime. L'eccezionalità dell'opera di Beconi è di aver ricomposto tanta emozione - sortita nell'uomo - in pure forme pittoriche; eternando cioè quei fatti in un universo estraneo al tempo e alle sue leggi. Anche ai suoi dolori se vogliamo, in quanto la pittura è anche questo, separando la storia dal degrado del tempo, dal trascorrere della memoria, e in ultimo dalla dimenticanza.

I disegni di Serafino
, di Manlio Cancogni
Nessuna delle arti figurative è difficile come l'arte del disegno. Ingres diceva che essa rivela la probità dell'artista. E' vero. Con la pittura e la scultura si riesce a barare (e quanti l'hanno fatto specie nel nostro secolo); col disegno no. Pittura e scultura alla meno peggio si arriva ad impararle. Il disegno è un dono: o hai l'occhio e la mano per cogliere l'essenza dell'oggetto, o non ce l'hai. Prendiamo il caso di Serafino. Nella scultura e soprattutto nella pittura lo vedi in preda a un dubbio perenne. 
La sua è una ricerca infinita che di rado si appaga. Il più delle volte dà l'impressione ch'egli abbia lasciato il lavoro incompiuto e con la voglia di riprenderlo. Mentre disegna invece, Serafino va a colpo sicuro. Specie nei ritratti. Dopoché il suo occhio, in apparenza disattento, ha penetrato il carattere del soggetto, la mano non sembra abbia difficoltà a seguire il filo che l'occhio dipana via via dal gomitolo della mente. Spesso, estratta e fissata l'idea dalla mobilità dell'immagine, il segno procede pulito, senza correzioni o ripensamenti, come se la mano che impugna la matita o la penna, una volta mossa, non si sia concessa nemmeno un attimo di pausa arrivando con un unico tratto a compiere l'intero percorso.


Brevi note

Serafino Beconi nasce a Torre del Lago nel 1925. Nel 1945 si diploma maestro. Nel 1954 entra a far parte del Centro versiliese delle arti con Marcucci, Santini, Catarsini, Pardini e altri. Partecipa a varie collettive e tiene molte mostre personali. È del 1964 la mostra in cui espone per la prima volta i quadri del Ciclo di S'Anna con 140 opere e 75 disegni, a Viareggio. 
Nel 1974 replica della personale dell'eccidio di Sant'Anna a Pietrasanta. Nel 1980 fonda l'associazione Artisti Versiliesi. Nel 1990 fonda il periodico trimestrale Sinopia il cui numero 0 esce a novembre. Tra le sue ultime esposizioni ricordiamo nel 1993 "Le ragazze della Costanza" e nel 1994 una mostra di scultura a Villa Borbone di Viareggio. Si spegne nella sua casa di Viareggio, dopo una lunga malattia, la mattina del 27 febbraio del 1997.

domenica 10 giugno 2007

Provvisorio, di Giancarlo Majorino


Provvisorio Incontrai Giancarlo Majorino verso la metà degli anni ottanta, forse nel 1985, a Lido di Camaiore, la bella cittadina versiliese che corre, lungo la costa tirrenica, proprio di fianco a Viareggio. Era qui per il Premio di Poesia Camaiore, ospite di Francesco Belluomini, presidente e animatore del premio.
Lo incontrai in un albergo sul lungomare, andato a quell'incontro spinto dalla grande curiosità che un suo libro, allora recentemente pubblicato, mi aveva procurato. Quel libro era Provvisorio, edito per Lo Specchio Mondadori: uno dei pochi testi, a mio avviso, che rimarranno di quel movimento e sommovimenti che avevano avuto origine, nei nostri anni sessanta, in una ricerca poetica spassionata, spesso condotta dietro il filo dell'intelletto, dove le ragioni e le regioni intellettuali e teoriche abbondavano, densa di cerebralismi, ma raramente capace di pulsare di quella strana selvaggia, perché mai ammaestrabile, luce che è poi il testo poetico.
 

Provvisorio sfuggiva a tutto questo: era indubbiamente un testo d'avanguardia, nasceva senza titubanze in quello stesso alveo, ne riprendeva impostazioni e disegni, facile quindi a essere confuso tra i molteplici che in quel tempo, nella letteratura italiana e internazionale, venivano pubblicati senza altro motivo che quello di proporre un linguaggio alieno alla tradizione, non solo a quella poetica - come ne era, per diversi motivi, esplicita e dichiarata intenzione - ma anche a qualsiasi timbro o registro comunicativo; facendo di quella difficoltà a dirsi, o a darsi, il timbro e registro di una poeticità che, al contrario, non è certo la sola originalità o stravaganza linguistica del testo a poter giustificare sostenere e creare.
Difficoltà, incongruenze, testi nati più in laboratorio che nella esperienza della vita, astrusità, con il destino ed esito ampiamente scontato e prevedibile, confermato nel corso degli anni, di un rapido declino di tutte quelle poetiche e di quelle confuse pagine.

In quei versi di Majorino pulsava invece una passione che li governava e accendeva, che avvertivo ma che non sapevo nominare. E per trovare quel nome andai, appunto, all'incontro con il poeta. Parlammo di tante cose, volammo o sedemmo intorno a quei versi, ma non ebbi la risposta che cercavo.
Ci incontrammo nuovamente nel 2000, questa volta a Pietrasanta, ancora in Toscana e nell'occasione di una mia mostra di pittura costruita e disposta all'interno del chiostro di Sant' Agostino, in una idea che veniva e perdurava da quei lontani anni ottanta e che ancora comprendeva quei versi del poeta milanese, o qualcosa che in quelli avvertivo, ponendoli come parte viva e significativa della mia esposizione svolta lungo un percorso all'interno del chiostro dove, tra l'altro, avevo organizzato, nell'economia della mostra stessa, una lettura di alcuni testi di Provvisorio, affidata ad alcune attrici che, in verità, glissarono alquanto dalle mie impostazioni e intenzioni dando una lettura che non mi convinse e che ancora rimpiango di non aver saputo spiegare e piegare alle mie idee e volontà.

Alla sera cenai insieme al poeta e ad altri amici. Tra quelli ricordo Nicola Micieli, e il poeta genovese Luciano Roncalli. In quella conversazione un poco del mio originario stupore ebbe finalmente un nome, che ancora sale alla mia mente quando poso gli occhi su quel testo; ancora convinto, come allora, che Provvisorio rappresenti una reale evoluzione della poesia italiana, un passaggio centrale, le cui fila, ora disperse o disattese, un qualche giorno saranno riprese e i semi in quei versi custoditi verranno, prima o poi, a fiorire.





Denti di latte

Da Denti di latte, Provvisorio, Mondadori, 1984
"........ noi siamo qui / io ti penso / sotto la lampada / e sei / ma in una forma leggera / piccolo tondo scavato / con questo aiuto di carta / nella mia mente d'amore / ma in una forma leggera / stella di latte nel vetro / tutti ti guardiamo ma a me sarai amica, luna, ancora? / sei ancora viva stai ancora male / sei ancora viva stai ancora male / sei ancora viva e mi dimeno / ti getto un ponte continuo riso d'amore / ma sotto trema come l'acqua il cuore / mentre tu lotti senza poterti aiutare / dolci ricordi fanno l'inutile vela / l'inutile stella l'inutile bianco sul mare / riportato, accusato? quali accuse? / alla stanza alla sedia tra le accuse rigato / t'hanno ciulato, palloncino; / era un po' che scendevi / - non la maestà degli azzurri gomiti / d'acqua tra le piante verdi oltre Avignone / ma, crepitanti, greto, / di furie concentrate / sordo precipitante / o semisvanito curvo ricurvo aliante / non, io non so, non credo, non racconsolante; / ora, tra ferri palte di sofferenze oblii, / grida sollecitanti, là tra le grate suore / malinconie di spetri persuasive bianche / rapide infermiere, barellieri, altre / tra vita e morte scene / che non riporto; /..... / 


p
arphon tiharphon seguìlimi preebado pohn e phon seguìlimi
ohn forse non dovevo fohn e fohn prebado non dovevo
scriverti ma portar ti arfohn tiharfohn scriver ti ma
port arti come ruga seguìlimi preebado fon e fon
scriverti qualsiasi quals iasi qualsiasi quaals
non scriverti portarti ohn dovevo
quals come un tatuaggio fohn come una ruga




Provvisorio, introduzione di Giuseppe Pontiggia alla prima edizione, novembre 1984.
I temi che ricorrono in tutta l'opera di Majorino - la ferocia come "pietas" dei rapporti, lo spazio che unisce la vita delle case a quella della strada e della città, il pathos non della lontananza, ma della vicinanza - ritornano qui intensificati, affrontati con la durezza del coraggio, l'unica che consente una voce della disperazione: e ne sono esiti coinvolgenti poesie come "Cesarano" o "Denti di latte" o "di'-allora dico". Ma tutta la raccolta appare, nella radicalità delle sue scelte e nella ricchezza espressiva del suo linguaggio, un punto nodale non solo nel percorso di Majorino, ma nella poesia dei nostri anni.




sabato 12 maggio 2007

Alle finestre, dietro al sogno di Paul Gauguin


Alle finestre, oltre quelle, vedo il paesaggio versiliese, sospeso nelle sue luci, e nei clamori che a volte giungono fino qui: alle prime pendici delle sue colline dominate dall'olivo disposto in ampie terrazze, interrotte da boschi di pini e castagni.
E pur sprofondato nelle sue atmosfere, da queste cullato, a volte mi trovo a pensare - associando a questo nome tutto ciò che è oltre il luogo dove mi trovo - a Paul Gauguin, al suo straordinario viaggio fatto di pennelli, colori, immagini di terre esotiche.
Per un certo verso gli siamo tutti simili: almeno fino al bordo delle nostre mura domestiche, a ricamare col pensiero su quell'altrove che in fondo al nostro cuore, se non al nostro sguardo, vive assopito come Aram, il mio gatto, nella sua poltrona sprofondato come in questo giorno di pioggia.

Gauguin e la sua esistenza mi sono stati ispiratori di una serie di quadri dedicati ad artisti che come lui hanno abitato la propria vita quasi come una stazione ferroviaria. Non per i viaggi poi realmente fatti, come è stato per Gauguin, ma per quel loro essere sempre sul bordo di un altrove, al quale rendere conto, più che alle umane voci e ai loro bilanci o equilibri. Tra questi Paul Cézanne e Nicolas De Staël, così rigidi e trepidi alle proprie forme e colori.
Mi vengono ora alla mente alcuni versi di una poesia di Giuseppe Ungaretti, "In memoria", dedicata all'amico Moammed Sceab "Discendente / di emiri nomadi / suicida / perché non aveva più / Patria"
Qual'è la patria? Quella dove cresce la propria casa o quella dove portano i desideri? E dove i due termini possono combaciare? Così nella implicita risposta che la vita e il percorso di Gauguin ci offrono avvertiamo un alito, un orizzonte del quale siamo spettatori e ugualmente parte: posino i nostri occhi in un qualche angolo di strada o di tempo, all'ombra del nostro futuro o dei nostri sogni.

Arturo Lini




Theo van Gogh a Gauguin (Auvers o Parigi, intorno al 29-31 luglio 1890)
Siete pregato di partecipare al corteo, all'ufficio funebre e alla sepoltura del

Signor Vincent Van Gogh pittore
deceduto nel proprio domicilio, ad Auvers-sur-Oise, martedì 29 luglio 1890, all'età di 37 anni, che si terranno mercoledì 30 luglio, alle 2 e 30 precise. Il punto di ritrovo è in piazza del Municipio, 2 ad Auvers-sur-Oise, de profundis
Partecipano al lutto: Vedova van Gogh, la madre, e signor Theodore van Gogh, il fratello.


Gauguin a Theo (Le Pouldu, inizio agosto 1890

Mio caro van Gogh

abbiamo appena ricevuto la triste notizia che tanto ci addolora. In simile circostanza non intendo inviarvi frasi di condoglianza. Sapete che era per me un amico sincero; e che era un artista, cosa rara nella nostra epoca.
Continuerete a vederlo nelle sue opere. Come diceva spesso Vincent: "La pietra perirà, rimarrà la parola". Quanto a me, lo vedrò con occhi e cuore nelle sue opere.
Cordialmente vostro
Paul Gauguin

venerdì 27 aprile 2007

I libri nello scaffale

I libri sono un po' come i figli: c'è un tempo in cui diventa naturale circondarsene. E una volta avuti sono affetti che ci accompagnano nel corso del tempo, con i loro riferimenti, il loro mondo nel quale sempre ci confrontiamo, ma anche con il loro egoismo che ci reclama sempre e solo a loro attenti e dediti.
Poi ci sono gli altri: i nipotini, amati finché si vuole ma non più nostri, o almeno, non più sbocciati in quel nostro essere terre feconde.
Così pensando oggi a un ipotetico elenco dei miei più amati mi scopro a riscrivere una lista un poco ingiallita. Provo a portare il pensiero fin qui, fino agli attuali bordi di questo nuovo secolo, visito e rivisito i miei ultimi, le più recenti letture, ma è un'inclusione, se provo a pensarla, che non batte tutt'uno con il cuore, un poco forzata.

Allora ai miei primi contatti con la lettura, il web neppure era un'idea possibile, e tutto il nostro sapere e la voglia che di quello sentivamo in noi, passava attraverso le bianche pagine: i nostri occhi, quando cercavano il mondo sognato e le risposte a quello reale, correvano sulle piccole nere righe, come treni sui binari che ci avrebbero condotto all'incontro con la nostra verità.
Ad essi apparteneva il cuore, ne erano custodi. Sbocciavano amori al primo sguardo di una copertina, che poi magari, avanzando nella reciproca conoscenza delle pagine lette, non sapevano mantenere quelle iniziali promesse, e le frasi finivano per non essere più così felici e spedite, fino ad un rapporto fatto di imbarazzi, di sguardi sempre più in lontananza, a cui solo seguiva una reciproca indifferenza.

Ma se un libro dovessi ora aprire in queste mie stanze sarebbe
quello un giorno apparsomi dalle vetrine di un'edicola sul lungomare di Viareggio: Addio alle armi di Hemingway. Non tanto perché quel romanzo sia poi uno dei miei preferiti ma perché quel libro fu il primo di un mondo, prima amato e lontano, ma poi in quella presenza e negli altri che gli seguirono diventato vicino e accessibile.
Era il primo degli Oscar Mondadori: pubblicazioni che dalle sale delle allora elitarie librerie, mondo per me, figlio di contadini e timido ragazzo di paese, allora lontano e inaccessibile, scendeva con cadenza settimanale alle più familiari e abbordabili edicole.
Piccola rivoluzione quella, che sempre porterò in me: di un mondo prima amato ma lontano e improvvisamente, negli scaffali di un'edicola sul lungomare di Viareggio, reale e raggiungibile; nella felicità che mi donò quell'apparizione, insieme ai primi titoli che ancora conservo di quella collana: La ragazza di Bube, di Cassola, poi La Nausea di Jean-Paul Sartre, a cui seguirono tutti gli altri. Il prezzo era di 350 lire, e l'iniziativa fu quasi subito ripresa da altre case editrici. Per la mia felicità, e di quanti non avevano ancora un luogo nel quale cercare e frequentare i propri sogni.

Arturo Lini

"È Mara la ragazza di Bube, che in una Toscana ancora sconvolta dalla tragedia della guerra, affronta la realtà con una decisione composta di affetto e di drammatica rinuncia, di antico senso del dovere e di percezione del tempo che scorre. E questi giorni mesi anni che passano trasformano Mara, sia pure lentamente, la induriscono, la fanno meno serena ma più consapevole dei suoi compiti, delle sue responsabilità di fronte a Bube, e di fronte alla società italiana che anche lei è tenuta a trasformare"
Così recitava la presentazione al libro sul retro della copertina, insieme a quella di Carlo Cassola: "Carlo Cassola è nato a Roma nel 1917, trasferendosi poi a Volterra, e nel volterrano ha preso parte attiva alla Resistenza. Nel 1960 ha ottenuto il premio Strega. Attualmente vive a Grosseto"


"M'è accaduto qualcosa, non posso più dubitare. È sorta in me come una malattia, non come una certezza ordinaria, non come un'evidenza. S'è insinuata subdolamente, a poco a poco; mi son sentito un po' strano, un po' impacciato, ecco tutto." Così comincia, nella traduzione di Bruno Fonzi, il diario di Antonio Roquentin, il protagonista de La Nausea
L'autore del libro così veniva presentato: "Jean-Paul Sartre è nato a Parigi il 20 giugno 1905, dove si è laureato in filosofia. Antifascista, durante l'ultima guerra ha combattuto nelle file della Resistenza. Nel 1964 gli venne conferito il Premio Nobel, che egli tuttavia rifiutò. Attualmente vive a Parigi"

martedì 24 aprile 2007

I quadri alle pareti

Alle pareti di ogni casa sono esposti dei quadri. Essi parlano tanto precisamente di noi che a volte stupisce, entrando in signorili abitazioni, vedere appesi a quelle opere di poco valore; oggetti senza storia, messi lì senza cura a ricoprire un vuoto, ad arredarlo, e che invece solo finiscono per mostrare tutto il vuoto di chi li ha scelti.
Ed è strano questo atteggiamento - peraltro assai diffuso - verso un oggetto, il quadro d'arte, assai indicativo della cultura, della personalità, dell'humus vorrei dire, di chi quelle stanze abita.
Mentre per gli altri oggetti d'arredamento si è disposti a spendere tempo e attenzioni, verso questo, così rappresentativo di noi, ben poco siamo propensi e disposti a concedere.

Non occorrono cifre esorbitanti per possedere una buona opera d'arte. La bellezza di un quadro, la sua "personalità", non è sempre data dal valore di mercato. A volte esse coincidono, a volte no: le due strade, dell'estetica e del mercato, si sono ancora più allontanate, seguendo, ognuna, strategie e percorsi diversi. Così in queste mie stanze appenderò alle pareti un dipinto di Wassily Kandinsky, ritenuto il primo autore di arte astratta, la cui opera inizia la più grande rivoluzione nella storia della pittura occidentale, al cui paragone ogni altro momento, o movimento, del passato o del presente, deve cedere il passo e lo scettro.
Arturo Lini