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domenica 28 agosto 2022

Un viaggio nel tempo - Tra le acque del lago di Massaciuccoli

Tra le testimonianze che nel tempo documentano visivamente le prime forme di pesca lacustre ci sono alcuni disegni dello scienziato e botanico bolognese Luigi Ferdinando Marsili, eseguiti tra il 1720 e il 1728 nelle paludi emiliane, assai simili alle nostre del Massaciuccoli, che illustrano la stesura in quelle acque di alcune reti di sbarramento. Altri disegni - sempre opera del nobiluomo bolognese - documentano l'uso di una bilancina: una rete di modeste dimensioni fissata ad una struttura a croce che una pertica, anticamente una canna di bambù o legno - ed oggi costituita da materiali telescopici più leggeri - attraverso l'uso di una corda permetteva di immergere e quindi sollevare dall'acqua. Lungo le rive si alzavano poi modestissime costruzioni in legno e in canna, protette da coperture in falasco: piccoli spazi usati per la rimessa delle reti oppure di altri strumenti di lavoro impiegati nelle diverse attività che prendevano vita nelle zone lacustri, dove la pesca assumeva un ruolo di primo piano per l'economia del territorio.

«La pesca del Lago di Massaciuccoli mantiene altresì molte famiglie ed il governo ne ritrae un vistoso provento» leggiamo sul Dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana di Emanuele Repetti, pubblicato nei primi decenni del XIX secolo. E Tommaso Ghilarducci in Considerazioni intorno alla proscrizione delle risaie nel Lucchese, stampato in Lucca presso la tipografia Giusti nel 1848 descrive La Piaggetta di Quiesa come "un piccolo casolare di pescatori sulla sponda del lago, intorno al quale si allargano immense lande paduligne.”

Nei primi decenni del secolo scorso la nostra bilancia è ancora un rudimentale capanno, grande lo stretto necessario per ospitare una persona: una tettoia con tre pareti laterali. Col tempo, e la sempre maggiore disponibilità di mezzi e materiali, quelle modeste costruzioni venivano poi affiancate da strumenti di pesca più efficienti: le reti si allungavano sulle acque, sovrastavano l'intero corso di un canale, con facilità scendevano e risalivano dalle acque. Per sostenerle e tenderle venivano innalzati pali, generalmente di castagno, posizionati a quadrato davanti alla stessa bilancia, o su entrambe le rive del corso d’acqua. Andavano ognuno fissato ad altri tre pali precedentemente piantati sul fondo del terreno con l’uso di mazze, fino a quando si incontrava lo strato di rena, alcuni metri più in basso, nel quale era impossibile procedere.

Per avere un'immagine di queste costruzioni nelle nostre zone del lago possiamo sfogliare un libro di Luigi Pedreschi che nel suo Il lago di Massaciuccoli e il suo territorio ne mostra appunto alcune foto, aggiungendo poi: "[...] Il pesce raccolto dai pescatori di professione (la regione è frequentata anche da molti appassionati di pesca sportiva) viene tuttora, per lo più, concentrato al Porto della Piaggetta e di qui smistato ai vari centri di consumo, cioè Lucca innanzitutto, e poi i paesi vicini al lago (specialmente Massarosa e Quiesa) e Viareggio. Le anguille vengono spedite in gran copia nell’Italia settentrionale.". Il libro di Luigi Pedreschi viene pubblicato in Roma nel 1956, eppure nel volgere di pochi anni sembrerà illustrare un mondo passato e lontano. Già i segni e i fremiti di una civiltà industriale che preme ed avanza, bussano alle porte del paese per annunciare una società governata da un crescente benessere, che muterà il proprio rapporto con l’ambiente naturale: non più luogo di fatica e sacrificio ma anche momento di svago e ricreazione, atteggiamento, questo, spesso incurante di quegli equilibri che fino ad allora ne avevano governato il tessuto permettendone fertilità e sopravvivenza.

Le nostre bilance cominciano ad ampliarsi, non solo in quantità lungo le sponde , ma anche in termini di abitabilità. Mutano le dimensioni, le modalità d'uso, ambienti più ampi, più accoglienti. Nella loro costruzione spesso si utilizzano materiali di fortuna, provenienti dalle abitazioni; a volte pezzi di lamiera andavano a formare parti del tetto o di una parete. Anche le traversine delle ferrovie erano utilizzate: stese sul terreno formavano una solida pavimentazione resistente all’acqua e capace di conservare assetto e posizione senza particolari accorgimenti. La pesca sul lago rimane ancora copiosa, redditizia: interi nuclei familiari si alternavano alle reti riuscendo, nei periodi di pesca, a mettere insieme delle piccole fortune.

A partire dagli anni Settanta, il capanno da pesca subisce un ulteriore mutamento, non tanto nella struttura quanto nella fruizione: il luogo di lavoro si trasforma in un luogo di svago, specchio, di una società in piena crescita economica, della quale segue l’evoluzione, le abitudini, lo stile di vita. Le reti manovrate inizialmente con carrucole e modesti argani crescono di dimensioni ora sostenute e mosse dalla crescente tecnologia; s’introducono sistemi di sollevamento a motore; per installare i pali sul fondo ci si avvale di benne e compressori che permettono un ancoraggio più rapido e sicuro. Fino ai moderni sistemi “a buttafuori”: due braccia rigide a sbalzo, in metallo leggero, s’allungano sull’acqua. La bilancia diventa un piccolo confortevole mondo, luogo di convivialità in cui si ritrovano gruppi familiari, amici, piccole collettività che insieme gestiscono quello spazio. Sul lago si alzano le bilance aziendali: quella della fabbrica Apice di Massarosa, dell’Enel, della Manifattura Tabacchi di Lucca, disponibili ai dipendenti che ne facciano richiesta. Per la manutenzione di quest’ultima si alternano periodicamente squadre di operai da Lucca: riparare la rete, le strutture portanti, l’argano, falciare e tenere pulito lo spazio intorno, rifornire la dispensa. L’illuminazione rimane a gas, quando la vicinanza alla terraferma lo permette ci si allaccia alla rete elettrica. Lo spostamento in barca è agevolato dall'uso di motori a scoppio: si va alla bilancia, per un pranzo o una cena in gruppo, comunque per un momento di festa, se non per qualche romantico incontro.

Ma anche questo mondo fastoso e festoso in un breve trascorrere di anni si trasformerà. L’inquinamento ambientale, la conseguente minore pescosità del lago, una progressiva crisi economica che renderà troppo onerosi interventi di manutenzione in passato inscrivibili nei normali bilanci familiari, la crescente sensibilizzazione verso il mondo animale e vegetale, le leggi e le norme sorte a tutela dell’ecosistema lacustre e delle sue rarità vegetali e animali; tutto questo condiziona interventi e presenze all’interno dello spazio lacuale creando di fatto uno stato di abbandono di molte di quelle strutture.
Oggi più niente rimane delle bilance Enel, Apice o Manifattura Tabacchi. Un autentico campionario di originalità e intraprendenza, esempi d’architettura spontanea e popolare, sta scomparendo sotto i nostri occhi. A questo mondo, ora celebrato dalle belle fotografie di Giancarlo Cerri esposte nello spazio della galleria f 5.6 di Amerigo Pelosini a Massarosa, il nostro augurio di una ritrovata vitalità, nella convinzione che sia possibile favorirne una nuova stagione, una nuova fioritura. Dove le attuali precise norme e regolamentazioni si concilino a quelle originarie costruzioni ancora presenti lungo le sponde del lago, recuperandole e mantenendole per quanto possibile nel loro storico abito, simboli e memoria di una civiltà popolare e contadina che è nostro dovere custodire e conservare.

Arturo Lini, presentazione alla mostra "Baracche e bilance, da via Cava alla Piaggetta", fotografie di Giancarlo Cerri alla galleria f 5.6, Massarosa (LU), marzo 2022.

lunedì 14 marzo 2016

Riflessioni naturali, fotografie di Amerigo Pelosini

"Riflessioni naturali" è il titolo di quest'ultima serie di opere fotografiche di Amerigo Pelosini, fotografie anche queste dedicate al Lago di Massaciuccoli, ai suoi molteplici paesaggi che prendono vita tra le sponde e i quieti canali. Mostra che viene dopo "La natura (dis)ordinata", titolo di una precedente esposizione tenuta nel 2008 della quale Simone Romani, in un breve testo introduttivo, sottolineava come la fotografia di Amerigo "cattura la bellezza originaria, trascurata o solo dimenticata, restituendo un’immagine della natura che ha il sapore della scoperta".

In quest'ultima prova del fotografo versiliese l'obbiettivo della fotocamera racconta l'incontro tra l'occhio umano e il virtuale punto di vista della stessa natura, quando i soggetti che appaiono sulla foto vengono a raffigurare l'unione dell'elemento naturale e della sua immagine riflessa: come la natura a se stessa appare, nelle acque che ne diventano specchio.
Operazione che quasi sembrerebbe voler prendere il volo da una impostazione concettuale, alla quale poi si sposa la solita maestria del fotografo, ma che in realtà segue una predisposizione, una vocazione tutta interiore, già ravvisabile, seppur in maniera embrionale, in tutta l'opera fotografica di Pelosini, anche in quella di più stretta osservanza paesaggistica: cioè di rappresentare l'ambiente naturale come scena autonoma e, ugualmente, simbolo di un più vasto respiro e ordito.

Sembra quasi un'annunciazione questo comune fiorire di elementi e dettagli dell’habitat lacustre e della loro immagine nel capovolto specchio delle acque del lago. Un sussurrarci qualcosa nella quale il paesaggio vuole rimescolare i punti di vista: un invito ad andare oltre il dato immediato ed evidente delle cose, oltre il punto prospettico che ordina e dispone il creato alla misura dell'uomo e dei suoi passi.
A una riflessione sul rapporto tra uomo e ambiente ci invita dunque questa mostra fotografica di Amerigo Pelosini, non solo nel più comune senso di un profondo rispetto e amore per l’ambiente, ma anche nella considerazione di saper cogliere in "ciò che appare" l'espressione di altri ordini e universi, paralleli e diversi dal nostro, con le loro leggi e necessità, che le abitudini, limiti o superficialità umane sopiscono o celano agli occhi, ma ugualmente vivi e potenti nell'ordine e nel respiro del creato.

Arturo Lini -
Introduzione alla mostra Riflessioni naturali, di Amerigo Pelosini, Torre del Lago Puccini (LU), 2011

martedì 8 marzo 2016

Itinerari fotografici versiliesi

Parlare della straordinaria fioritura e vitalità di ingegni ed estri artistici che popolano il territorio versiliese, di questo figli naturali o adottati, è discorso già ampiamente accettato e storicizzato, qualcosa che nell'aria sempre affiora quando si guarda a questa comunità, alle sue particolarità e caratteristiche, al centro di luci e attenzioni già all'inizio della stessa epoca moderna, come ha sottolineato una mostra allestita nell'estate 1999 nella villa La Versiliana a Marina di Pietrasanta, dal titolo: "D'Annunzio e la scoperta della Versilia", dove Cesare Garboli ricostruiva l'ambiente e l'atmosfera versiliese vissuta dal poeta abruzzese tra gli ultimi anni dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, individuando nelle stesse pagine dell'Alcyone la trasformazione della Versilia in luogo mitico, nei suoi aspetti fantastici ma anche semplici e quotidiani.
Alla nascita del mito certo ha giovato anche la presenza di Giacomo Puccini che giusto nello stesso periodo veniva a vivere sulle sponde del lago di Massaciuccoli, con le sue melodie, i pittori che intorno a lui si strinsero nel Club della Bohème, che già fanno parte della storia come della leggenda di questa terra.
Terra che oltre gli immediati beni di consumo, quali le spiagge marine con i loro insediamenti turistici, offre oggi uno straordinario campionario di tesori architettonici e artistici, di stratificazioni storiche e ambientali, delle quali è buon esempio questa parte sud del territorio versiliese identificabile nel Comune di Masssarosa del quale Bargecchia è parte. Tesori che spesso sfuggono a una prima visita, nell'ampio catalogo che la Versilia può offrire, ma che pure hanno un loro spessore e valore che travalica i confini e i metri della territorialità: e tra questi mi è semplice citare i due polittici di epoca rinascimentale, due pale di altare del XV e XVI secolo, qui a Bargecchia custoditi nella chiesa di San Martino.

Perché io credo che la bellezza si respiri, e l'esserne circondato conferisca già un abito mentale, un metro di valutazione delle cose, che dona grazia e armonia alle proprie espressioni artistiche, quando queste ci fanno il dono di apparire in fondo all'animo. Qualcosa che ci si ritrova naturalmente fra le mani, che poi il tempo, la passione, il rispetto di quella prima vocazione possono ampliare fino a risultati eccelsi, eccezionali nel proprio specifico ambito, come già è testimone questa angolo di terra: quasi un borgo steso sulle colline eppure capace di offrire al mondo intero talenti e personalità in quello apprezzate e conosciute.
E forse Bargecchia ben si presta, nella sua particolarità geografica, a farsi emblema di questa commistione che racchiude la bellezza della Versilia: visitata dai riflessi e sapori marini, quando dal mare s'alzano a percorrere queste colline, così come dai venti di nord-est che scendono a volte dalle cime delle Apuane con il loro sapore di pascoli o di innevate cime.
La nostra mostra fotografica chiama a raccolta dieci fotografi, noti e apprezzati in questa loro professione, invitati a esprimersi su ambienti e culture di questo territorio, per sottolinearne alcuni suoi aspetti, o usandolo come terreno o ispirazione del proprio discorso e bagaglio artistico. Discorso artistico al quale cercherò, con queste mie parole, di offrire una pur minima cornice capace di accennare a quel mondo da cui sono tratte le loro immagini.

Emiro Albiani - Ammirato nel mondo intero per la capacità creativa e la maestria delle proprie esecuzioni l'artigianato italiano conserva ancora oggi un tratto distintivo: incontro di laboriosità e sapienze antiche e rurali, se non con la creatività propria di questa terra, con quell'arte di arrangiarci, che è espressione e sunto di tante virtù.
Anche la gastronomia è parte di questo mondo. Arte lieve e leggera, che per altre vie ci conduce alla semplicità del vivere, ai suoi fondamentali dettami. Il poeta Antonio Porta, scomparso a Roma nel 1989, in una sua celebre apparizione televisiva dove si esibiva in una lettura di poesie organizzò questa sua performance in un forno: lui vestito di nero davanti al leggio su cui posavano le poesie, mentre alle spalle il fornaio, nel bianco indumento, s'accudiva al proprio delicato lavoro, entrambi, in quella comune scena, attenti a sottolineare le semplici architetture, verbali o alimentari, del vivere. Nelle foto di Emiro Albiani questa antica sapienza artigianale torna a mostrarsi nella sua naturalezza, quasi che le braccia e le mani vivano slegate dal corpo e dalla sua intenzionalità, andando a ripetere gesti e azioni che appartengono più alla memoria del sangue, e delle generazioni che lo hanno composto, che non a quella della mente o dell'io.

Belli Renzo - sembra aver trovato nel volto umano un proprio personale mappamondo, non solo in questa breve panoramica collinare, che può anche essere letta come un riassunto, o meglio un accenno, della sua produzione artistica, ma per un certo suo metodo e abitudine di avvicinarsi all'oggetto fotografato.
Anche se l'origine di molti dei suoi reportàges prende avvio da viaggi intrapresi per il mondo intero, successivamente oggetto di stampe e volumi, in questo suo attuale appuntamento l'obbiettivo guarda alle strade e gli angoli di questa nostra terra. Sono volti che immaginiamo colti nella loro quotidianeità e spontaneità, che poi, grazie alla fotografia, sembrano bucare il velo dei giorni, dell'anonimato in cui scorrono e si ripetono i gesti. Indossano così, nel bianco e nero fotografico, l'abito della straordinarietà, diventando paladini e indice degli umani accadimenti.
I volti, i gesti, che accompagnano gli atti dei suoi personaggi, hanno una sorta di fierezza, emanano il sapore dell'ottimismo, di chi conosce nel lavoro e nella qualità del proprio fare una sorta di forza che possa muovere e cambiare in meglio il mondo. Sono eroi e personaggi positivi, leve del mondo, che noi vogliamo anche interpretare come un omaggio a questa laboriosa e intraprendente terra.

Cei Enzo - Le cave di marmo di Carrara rappresentano un momento centrale nell'ambito della produzione artistica di Enzo Cei, tanto da essere definito, in qualche pagina di critica fotografica, il fotografo dei cavatori e di essere autore di pregiate edizioni dedicate ai cavatori di marmo. Per introdurci all'ambiente scelto dal fotografo pisano, quale teatro delle sue immagini, userò queste parole di Riccardo Bacchelli, tratte dai suoi ricordi dei tempi di vacanza trascorsi a Forte dei Marmi: "Dalla parte di terra, la spianata era aperta sui campi e sopra ampia veduta dell'alpe da cui provenivano i marmi e quella strada, che la tradizione voleva aperta da Michelangelo Buonarrotti per carreggiarvi al mare i marmi da servire alla sepoltura di papa Giulio" e già in questi nomi possiamo cogliere la fama delle bianche pareti delle Alpi Apuane, rimasta immutata dal tempo in cui il divin scultore personalmente andava a scegliersi i marmi per le proprie opere, cercando poi di tracciarne le rotte per il faticoso trasporto nella città fiorentina.
In Cei è il bianco, la purezza del colore rivissuta nella sua piena naturalezza, a dettare il racconto; il tessuto delle luci che sottolineano la possenza dello sforzo umano, i loro atti congelati in pose, quasi maschere di antiche tragedie greche: umanissimi attori imbellettati della bianca polvere, sulla scena di un gigantesco olimpico teatro, di cui siano spettatori anche gli dei.

Cerri Giancarlo - Vista dal cielo, da qualche perduto astro o satellite, la spiaggia versiliese, con i suoi pontili e moli, può forse apparire come uno scarno pettine, a cui si lisciano infrangendosi nei suoi radi denti le onde del mare. Le foto di Cerri ci portano sul pontile di Lido di Camaiore, insieme a quello di Marina di Pietrasanta ultimo venuto in questa particolare e suggestiva storia versiliese, mostrandocelo ora nella sinuosità delle sue forme a cui si sposa la rigida solidità dei pali di sostegno. Quasi in quella promenade, a cui la foto ci invita, sembra di percorrere un luogo sacrale, separato dal mondo di tutti i giorni attraverso il magico percorso di un pontile steso dal viale a mare della cittadina fino alla vista dell'orizzonte, con la fluidità dell'acqua che fa contrappeso alla pesantezza della terra, per trasformarla in un'aerea leggerezza di vapori e di brezze. Fino alla rotonda finale, l'ossatura di travi, enorme scheletro che sostiene la grande veranda in legno, con quell'impressione di fasto coloniale, e la memoria che ci riporta alla mente i primi stabilimenti balneari, il Nereo, il Dori di Viareggio, che si spingevano sopra l'acqua del mare sostenuti da palafitte in legno.

Cirri Giancarlo - Ci trasporta al centro di un arenile le cui spiagge e luoghi sono state celebrate da artisti e da uomini di stato, da poeti e letterati: da Viareggio a Forte dei Marmi, da Marina di Pietrasanta a Torre del Lago Puccini, oltre le quali continuano le pinete, le campagne, paesi e colline ricche di tradizioni culturali antiche quanto l'uomo, pievi romaniche con i colli dei campanili che sbucano dal manto verdeargento, ville storiche con le loro memorie di re e regine che le visitarono, e infine le montagne Apuane che sembrano fare un recinto e protezione a questo patrimonio.
Un omaggio alla Versilia espresso attraverso immagini che sono quasi simbolo di questa terra, perlomeno dei suoi più ricorrenti segni e icone turistiche: il gabbiano, il pescatore, un remo che sfiora l'acqua, un aliante sopra quello sospeso. Nelle foto di Cirri c'è però un altro elemento che queste poche righe ci permettono solo di accennare: lo spazio, nel quale la fluidità dei corpi, il battito delle ali, lo spostarsi degli elementi sembrano quasi dettati da universali partiture a rappresentare non se stessi ma quell'enorme vuoto che rende possibile il loro muoversi, il loro stesso esistere.

Gori Carlo - Albero della civiltà, è stato definito l'ulivo, la cui presenza subito definisce i confini dell'area mediterranea. Importato dalla Grecia viene all'inizio coltivato in Sicilia. Successivamente la sua produzione si espande in altre regioni italiane, tra le quali l'Etruria, dove la produzione dell'olio è documentata già dal VI secolo a.C. Nelle colline versiliesi la sua coltivazione e commercializzazione è presente già nell'alto Medioevo, per merito di diversi ordini monastici, quando insieme a quella della vite rappresentava una delle principali produzioni agricole. Nella nostra zona massarosese, l'inizio della sua cultura, in zone prima ricoperte da boschi di querce e lecci, è fatta coincidere con la fondazione di un convento di Benedettini avvenuta a Quiesa nel 1025. Le foto di Carlo Gori ci accompagnano alla Colombaia, in Piano del Quercione, in un frantoio adesso chiuso, dove la frangitura delle olive seguiva un percorso ancora artigianale, manuale, come vogliono indicare le mani raccolte intorno ai preziosi frutti. In effetti, paragonando questo ai moderni frantoi, si respira nelle foto lo svolgersi cerimoniale dell'evento, quell'aria di silenzio, quasi claustrale, dove Gori compie una specie di sinestesia dove la raffigurazione dello spazio di un ambiente riesce a richiamare qualcosa, il silenzio che lo abitava, la cui percezione apparterrebbe a un altro senso.

Alessandro Lazzerini - Industria di punta, questa della cantieristica viareggina, degna di primeggiare nel mondo intero, per soluzioni e tecnologie d'avanguardia capaci di affrontare il futuro, ma a noi tanto vicina e cara anche per tutt'altro sentiero che viene da un passato popolato dai ricordi di Lorenzo Viani, nato a Viareggio nel 1882, in quella parte della marina viareggina, la Vecchia Darsena, dove erano sorti, e ancora all'epoca sorgevano a ritmo vertiginoso, gli scali e i primi cantieri navali, popolati di maestri d'ascia e di calafati, fabbri, carpentieri, segantini, funai e velai; industria favorita dalla presenza di estese pinete, situate immediatamente alle spalle della costa.
Il mondo che oggi Lazzerini ci presenta è indubbiamente diverso, mutato, ma i volti che armeggiano con strumenti e materiali assai più moderni di quelli di ieri hanno la stessa solidità, nelle braccia e gesti che sembrano assecondarli, di quelli rinvenibili nei disegni del maestro viareggino e di altri pittori versiliesi, cantori con i loro colori di quel mondo. Volti e atti, ora nelle fotografie di Lazzerini, guidati dalla stessa maestria, che è anche onestà e ordine morale, sottolineata nei gesti attenti e misurati.

Giovanni Nardini - L'alchemico mondo delle botteghe dei fonditori è invece presentato da Giovanni Nardini, attraverso le sue foto dove l'intento documentaristico s'accompagna ai tagli netti delle luci, dei piani, che ben sottolineano il pathos che circonda le diverse operazioni, quella sorta di cerimonia religiosa o sacrale che ha come proprio fine lo sbocciare della forma nuova. Le fonderie sono quelle di Pietrasanta, conosciute e frequentate dai più importanti scultori italiani e stranieri, al pari dei laboratori artigianali del marmo, attività di grande professionalità che rendono famosa la cittadina versiliese nel mondo.
A questo mondo Nardini ha dedicato un libro, tra i diversi suoi pubblicati che spesso affrontano e si soffermano su attività lavorative dell'uomo. Ma guardando adesso a queste foto, esposte in questa mostra, ritrovo in esse qualcosa che ricorda l'impianto pittorico del Caravaggio, ispiratore peraltro di alcune scenografie e regie cinematografiche. Quell'insistenza sui tagli d'una luce netta che separa la scena in due distinti campi: chiaro e scuro, quasi primordiali simbologie d'una qualche dualità che abita la scena se non l'animo dei suoi protagonisti; quell'irrompere dal vano d'una finestra di una luce che sembra appartenere ad altre orbite alle quali l'uomo ugualmente partecipa, consapevole o meno.

Amerigo Pelosini - Presenta foto dedicate all'ambiente lacustre del lago di Massaciuccoli, e al suo eccezionale habitat, parte di una delle più importanti zone umide del bacino mediterraneo, inclusa nelle Aree umide italiane di importanza internazionale, e tra le Zone a protezione speciale nonché tra i Siti di importanza regionale relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatica. Temi e paesaggi più volte percorsi nei suoi itinerari fotografici ed editoriali, fino alla minuziosa indagine di qualche elemento incontrato nelle sue passeggiate: un vecchio tronco di albero la cui superficie diventa mappa di infinite costellazioni; oppure la grazia di un'esile cannella che sembra scrivere la propria storia sulla verde mobile pagina del lago.
Dove seguendo una predisposizione, una vocazione tutta interiore, ravvisabile, seppur a volte in maniera embrionale, in tutta la sua opera fotografica, anche in quella di più stretta osservanza del dato paesaggistico, riesce sempre a cogliere nelle scene qualcosa che travalica la loro mera rappresentazione: mostrandoci l'ambiente naturale come scena autonoma, con tutte le sue terrestri bellezze e suggestioni, e ugualmente luogo e simbolo di un più vasto respiro e ordito.

Sacchetti Enrico - Con Sacchetti entriamo in uno degli ultimi paradisi terrestri, capaci ancora oggi di conservare la loro primitiva disposizione e conformazione ambientale: quasi immutata nella costa tra Torre del Lago e la foce del fiume Arno. Area salvaguardata in epoche passate dalla persistenza della malaria che rendeva inabitabile la zona, nonché dalla presenza di terreni di proprietà della famiglia fiorentina dei Medici e da questa destinati a riserva di caccia. Successivamente furono i granduchi di Toscana a conservarne questa destinazione, infine i Savoia, divenuti re d'Italia, scelsero questo luogo come sede di vacanza, destinazione poi trasferita alla presidenza della repubblica italiana. A partire dal 1979, l'area è infine diventata parte del parco regionale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli.
Sacchetti ha ben corrisposto questa natura del suo 'soggetto' quasi dando nelle sue foto una fisica consistenza alla caparbia tenacia degli elementi riusciti a sopravvivere alle trame delle civiltà e all'asprezza dell'ambiente, quasi come esseri umani attaccati alla proprie profonde radici. E conoscendolo personalmente devo dire che in queste foto riconosco una certa parte del suo carattere: scabro, schietto, abitato da una certa resistenza al tempo e ai suoi dettami.

Arturo Lini, giugno 2011 - Itinerari fotografici versiliesi: dalle cime delle Apuane alla foce del Serchio, testo in catalogo alla mostra Bargecchia terra di Versilia, Bargecchia (LU), stampa Grafiche Aurora, Viareggio, luglio 2011