venerdì 27 aprile 2007

I libri nello scaffale

I libri sono un po' come i figli: c'è un tempo in cui diventa naturale circondarsene. E una volta avuti sono affetti che ci accompagnano nel corso del tempo, con i loro riferimenti, il loro mondo nel quale sempre ci confrontiamo, ma anche con il loro egoismo che ci reclama sempre e solo a loro attenti e dediti.
Poi ci sono gli altri: i nipotini, amati finché si vuole ma non più nostri, o almeno, non più sbocciati in quel nostro essere terre feconde.
Così pensando oggi a un ipotetico elenco dei miei più amati mi scopro a riscrivere una lista un poco ingiallita. Provo a portare il pensiero fin qui, fino agli attuali bordi di questo nuovo secolo, visito e rivisito i miei ultimi, le più recenti letture, ma è un'inclusione, se provo a pensarla, che non batte tutt'uno con il cuore, un poco forzata.

Allora ai miei primi contatti con la lettura, il web neppure era un'idea possibile, e tutto il nostro sapere e la voglia che di quello sentivamo in noi, passava attraverso le bianche pagine: i nostri occhi, quando cercavano il mondo sognato e le risposte a quello reale, correvano sulle piccole nere righe, come treni sui binari che ci avrebbero condotto all'incontro con la nostra verità.
Ad essi apparteneva il cuore, ne erano custodi. Sbocciavano amori al primo sguardo di una copertina, che poi magari, avanzando nella reciproca conoscenza delle pagine lette, non sapevano mantenere quelle iniziali promesse, e le frasi finivano per non essere più così felici e spedite, fino ad un rapporto fatto di imbarazzi, di sguardi sempre più in lontananza, a cui solo seguiva una reciproca indifferenza.

Ma se un libro dovessi ora aprire in queste mie stanze sarebbe
quello un giorno apparsomi dalle vetrine di un'edicola sul lungomare di Viareggio: Addio alle armi di Hemingway. Non tanto perché quel romanzo sia poi uno dei miei preferiti ma perché quel libro fu il primo di un mondo, prima amato e lontano, ma poi in quella presenza e negli altri che gli seguirono diventato vicino e accessibile.
Era il primo degli Oscar Mondadori: pubblicazioni che dalle sale delle allora elitarie librerie, mondo per me, figlio di contadini e timido ragazzo di paese, allora lontano e inaccessibile, scendeva con cadenza settimanale alle più familiari e abbordabili edicole.
Piccola rivoluzione quella, che sempre porterò in me: di un mondo prima amato ma lontano e improvvisamente, negli scaffali di un'edicola sul lungomare di Viareggio, reale e raggiungibile; nella felicità che mi donò quell'apparizione, insieme ai primi titoli che ancora conservo di quella collana: La ragazza di Bube, di Cassola, poi La Nausea di Jean-Paul Sartre, a cui seguirono tutti gli altri. Il prezzo era di 350 lire, e l'iniziativa fu quasi subito ripresa da altre case editrici. Per la mia felicità, e di quanti non avevano ancora un luogo nel quale cercare e frequentare i propri sogni.

Arturo Lini

"È Mara la ragazza di Bube, che in una Toscana ancora sconvolta dalla tragedia della guerra, affronta la realtà con una decisione composta di affetto e di drammatica rinuncia, di antico senso del dovere e di percezione del tempo che scorre. E questi giorni mesi anni che passano trasformano Mara, sia pure lentamente, la induriscono, la fanno meno serena ma più consapevole dei suoi compiti, delle sue responsabilità di fronte a Bube, e di fronte alla società italiana che anche lei è tenuta a trasformare"
Così recitava la presentazione al libro sul retro della copertina, insieme a quella di Carlo Cassola: "Carlo Cassola è nato a Roma nel 1917, trasferendosi poi a Volterra, e nel volterrano ha preso parte attiva alla Resistenza. Nel 1960 ha ottenuto il premio Strega. Attualmente vive a Grosseto"


"M'è accaduto qualcosa, non posso più dubitare. È sorta in me come una malattia, non come una certezza ordinaria, non come un'evidenza. S'è insinuata subdolamente, a poco a poco; mi son sentito un po' strano, un po' impacciato, ecco tutto." Così comincia, nella traduzione di Bruno Fonzi, il diario di Antonio Roquentin, il protagonista de La Nausea
L'autore del libro così veniva presentato: "Jean-Paul Sartre è nato a Parigi il 20 giugno 1905, dove si è laureato in filosofia. Antifascista, durante l'ultima guerra ha combattuto nelle file della Resistenza. Nel 1964 gli venne conferito il Premio Nobel, che egli tuttavia rifiutò. Attualmente vive a Parigi"

martedì 24 aprile 2007

I quadri alle pareti

Alle pareti di ogni casa sono esposti dei quadri. Essi parlano tanto precisamente di noi che a volte stupisce, entrando in signorili abitazioni, vedere appesi a quelle opere di poco valore; oggetti senza storia, messi lì senza cura a ricoprire un vuoto, ad arredarlo, e che invece solo finiscono per mostrare tutto il vuoto di chi li ha scelti.
Ed è strano questo atteggiamento - peraltro assai diffuso - verso un oggetto, il quadro d'arte, assai indicativo della cultura, della personalità, dell'humus vorrei dire, di chi quelle stanze abita.
Mentre per gli altri oggetti d'arredamento si è disposti a spendere tempo e attenzioni, verso questo, così rappresentativo di noi, ben poco siamo propensi e disposti a concedere.

Non occorrono cifre esorbitanti per possedere una buona opera d'arte. La bellezza di un quadro, la sua "personalità", non è sempre data dal valore di mercato. A volte esse coincidono, a volte no: le due strade, dell'estetica e del mercato, si sono ancora più allontanate, seguendo, ognuna, strategie e percorsi diversi. Così in queste mie stanze appenderò alle pareti un dipinto di Wassily Kandinsky, ritenuto il primo autore di arte astratta, la cui opera inizia la più grande rivoluzione nella storia della pittura occidentale, al cui paragone ogni altro momento, o movimento, del passato o del presente, deve cedere il passo e lo scettro.
Arturo Lini