domenica 10 giugno 2007

Provvisorio, di Giancarlo Majorino


Provvisorio Incontrai Giancarlo Majorino verso la metà degli anni ottanta, forse nel 1985, a Lido di Camaiore, la bella cittadina versiliese che corre, lungo la costa tirrenica, proprio di fianco a Viareggio. Era qui per il Premio di Poesia Camaiore, ospite di Francesco Belluomini, presidente e animatore del premio.
Lo incontrai in un albergo sul lungomare, andato a quell'incontro spinto dalla grande curiosità che un suo libro, allora recentemente pubblicato, mi aveva procurato. Quel libro era Provvisorio, edito per Lo Specchio Mondadori: uno dei pochi testi, a mio avviso, che rimarranno di quel movimento e sommovimenti che avevano avuto origine, nei nostri anni sessanta, in una ricerca poetica spassionata, spesso condotta dietro il filo dell'intelletto, dove le ragioni e le regioni intellettuali e teoriche abbondavano, densa di cerebralismi, ma raramente capace di pulsare di quella strana selvaggia, perché mai ammaestrabile, luce che è poi il testo poetico.
 

Provvisorio sfuggiva a tutto questo: era indubbiamente un testo d'avanguardia, nasceva senza titubanze in quello stesso alveo, ne riprendeva impostazioni e disegni, facile quindi a essere confuso tra i molteplici che in quel tempo, nella letteratura italiana e internazionale, venivano pubblicati senza altro motivo che quello di proporre un linguaggio alieno alla tradizione, non solo a quella poetica - come ne era, per diversi motivi, esplicita e dichiarata intenzione - ma anche a qualsiasi timbro o registro comunicativo; facendo di quella difficoltà a dirsi, o a darsi, il timbro e registro di una poeticità che, al contrario, non è certo la sola originalità o stravaganza linguistica del testo a poter giustificare sostenere e creare.
Difficoltà, incongruenze, testi nati più in laboratorio che nella esperienza della vita, astrusità, con il destino ed esito ampiamente scontato e prevedibile, confermato nel corso degli anni, di un rapido declino di tutte quelle poetiche e di quelle confuse pagine.

In quei versi di Majorino pulsava invece una passione che li governava e accendeva, che avvertivo ma che non sapevo nominare. E per trovare quel nome andai, appunto, all'incontro con il poeta. Parlammo di tante cose, volammo o sedemmo intorno a quei versi, ma non ebbi la risposta che cercavo.
Ci incontrammo nuovamente nel 2000, questa volta a Pietrasanta, ancora in Toscana e nell'occasione di una mia mostra di pittura costruita e disposta all'interno del chiostro di Sant' Agostino, in una idea che veniva e perdurava da quei lontani anni ottanta e che ancora comprendeva quei versi del poeta milanese, o qualcosa che in quelli avvertivo, ponendoli come parte viva e significativa della mia esposizione svolta lungo un percorso all'interno del chiostro dove, tra l'altro, avevo organizzato, nell'economia della mostra stessa, una lettura di alcuni testi di Provvisorio, affidata ad alcune attrici che, in verità, glissarono alquanto dalle mie impostazioni e intenzioni dando una lettura che non mi convinse e che ancora rimpiango di non aver saputo spiegare e piegare alle mie idee e volontà.

Alla sera cenai insieme al poeta e ad altri amici. Tra quelli ricordo Nicola Micieli, e il poeta genovese Luciano Roncalli. In quella conversazione un poco del mio originario stupore ebbe finalmente un nome, che ancora sale alla mia mente quando poso gli occhi su quel testo; ancora convinto, come allora, che Provvisorio rappresenti una reale evoluzione della poesia italiana, un passaggio centrale, le cui fila, ora disperse o disattese, un qualche giorno saranno riprese e i semi in quei versi custoditi verranno, prima o poi, a fiorire.





Denti di latte

Da Denti di latte, Provvisorio, Mondadori, 1984
"........ noi siamo qui / io ti penso / sotto la lampada / e sei / ma in una forma leggera / piccolo tondo scavato / con questo aiuto di carta / nella mia mente d'amore / ma in una forma leggera / stella di latte nel vetro / tutti ti guardiamo ma a me sarai amica, luna, ancora? / sei ancora viva stai ancora male / sei ancora viva stai ancora male / sei ancora viva e mi dimeno / ti getto un ponte continuo riso d'amore / ma sotto trema come l'acqua il cuore / mentre tu lotti senza poterti aiutare / dolci ricordi fanno l'inutile vela / l'inutile stella l'inutile bianco sul mare / riportato, accusato? quali accuse? / alla stanza alla sedia tra le accuse rigato / t'hanno ciulato, palloncino; / era un po' che scendevi / - non la maestà degli azzurri gomiti / d'acqua tra le piante verdi oltre Avignone / ma, crepitanti, greto, / di furie concentrate / sordo precipitante / o semisvanito curvo ricurvo aliante / non, io non so, non credo, non racconsolante; / ora, tra ferri palte di sofferenze oblii, / grida sollecitanti, là tra le grate suore / malinconie di spetri persuasive bianche / rapide infermiere, barellieri, altre / tra vita e morte scene / che non riporto; /..... / 


p
arphon tiharphon seguìlimi preebado pohn e phon seguìlimi
ohn forse non dovevo fohn e fohn prebado non dovevo
scriverti ma portar ti arfohn tiharfohn scriver ti ma
port arti come ruga seguìlimi preebado fon e fon
scriverti qualsiasi quals iasi qualsiasi quaals
non scriverti portarti ohn dovevo
quals come un tatuaggio fohn come una ruga




Provvisorio, introduzione di Giuseppe Pontiggia alla prima edizione, novembre 1984.
I temi che ricorrono in tutta l'opera di Majorino - la ferocia come "pietas" dei rapporti, lo spazio che unisce la vita delle case a quella della strada e della città, il pathos non della lontananza, ma della vicinanza - ritornano qui intensificati, affrontati con la durezza del coraggio, l'unica che consente una voce della disperazione: e ne sono esiti coinvolgenti poesie come "Cesarano" o "Denti di latte" o "di'-allora dico". Ma tutta la raccolta appare, nella radicalità delle sue scelte e nella ricchezza espressiva del suo linguaggio, un punto nodale non solo nel percorso di Majorino, ma nella poesia dei nostri anni.




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